Decreto legge 25/06/2005, n° 209 sull'archeologia preventiva: Archeologi, pesa l'assenza dell'Albo

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-Kiya-
00lunedì 15 maggio 2006 01:11
L'archeologia preventiva deve attendere.
L'elenco dei professionisti in grado di effettuare i sopralluoghi per verificare, sui terreni dove devono sorgere opere pubbliche, se esistono siti storici da salvaguardare è stato, infatti, bloccato dal Consiglio di Stato. I giudici hanno sollevato obiezioni, chiedendo chiarimenti al ministero dei Beni culturali.
Palazzo Spada è stato chiamato a esaminare il regolamento ministeriale che deve rendere operativa la previsione della legge 109 del 2005: far precedere i lavori pubblici che insistono su aree di interesse archeologico da adeguate verifiche. Il regolamento deve indicare chi può effettuare quei controlli, dando il via all'istituzione di un «apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati, degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione».
Le scelte dei Beni culturali non hanno, però, convinto del tutto la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, che ha mosso rilievi di carattere procedurale e sul merito. Riguardo ai primi, i giudici (parere 1038/2006, relatore Luigi Carbone) hanno ritenuto che il ministero dei Beni culturali non abbia adeguatamente collaborato con quello dell'Istruzione. Collaborazione tanto più necessaria - ha fatto notare Palazzo Spada - in quanto non esiste una categoria unitaria degli istituti archeologici universitari.
Altro ministero da coinvolgere era, inoltre, quello della Giustizia. «Difatti - hanno scritto i giudici - poiché non esiste un albo della professione di archeologo, l'elenco in questione sembra assumere un rilievo, in concreto, che va al di là dell'applicazione della disciplina dell'archeologia preventiva». L'elenco, in altre parole, si preannuncia come «una sorta di "albo di fatto"».
Per quanto riguarda il contenuto del regolamento, il Consiglio di Stato ha, tra l'altro, contestato che all'elenco possano iscriversi i dirigenti e i funzionari dei Beni culturali che abbiano svolto, per almeno cinque anni, servizio nella posizione funzionale di archeologo. Posizione alla quale si può accedere anche senza la specializzazione in archeologia, richiesta, invece, a tutti gli altri che intendono entrare nell'elenco.
-Kiya-
00lunedì 15 maggio 2006 01:17
Considerazioni di Alessandro Roccati, in proposito all'esclusione degli Archeologi Orientalisti
In riferimento al decreto relativo alla regolamentazione dell'archeologia preventiva, è apprezzabile la decisione, assolutamente necessaria e meritevole, di dare ordine e norma ad una materia fino ad oggi assai confusa e dibattuta, ma appare meno motivata l'esclusione degli archeologi orientalisti dai lavori ad essa collegati.

Questo significa, anzitutto, togliere deliberatamente valenza ed applicazione al corso di studi da anni attivato presso diverse università italiane, precisamente la Scuola di Specializzazione in Archeologia Orientale. La sperequazione verso tutti gli operatori di questa materia risulta da molteplici motivi:

1) la scuola di specializzazione in Archeologia Orientale prevede un numero consistente di esami inerenti l'ambito delle metodologie e dell'archeologia classica e preistorica, comuni anche alle altre scuole di Specializzazione in Archeologia con indirizzi diversi. Infatti, su 12 esami previsti, ben 6, cioè la metà, afferiscono ai suddetti ambiti, e solo altri 6 costituiscono, invece, specificità "curriculari" del proprio indirizzo: l'egittologia o l'archeologia del vicino oriente antico. Fra questi ultimi 6 può essere, inoltre, previsto un esame di "archeologia e storia dell'arte greco-romana", portando, quindi, a 7 il totale degli esami comuni alle aree delle 6 scuole di specializzazione individuate dalla legge come..."valide per le relazioni che danno avvio all'archeologia preventiva". Anche gli archeologi orientalisti ricevono quindi una formazione di base che consente di pervenire a conoscenze teoriche e competenze comuni da applicare, poi, anche al di fuori dei propri ambiti specifici;

2) sono previste, ogni anno, anche dall'ordinamento della scuola di orientalistica numerose attività di scavo, svolte principalmente sul territorio italiano, inserite nell'ambito di ogni singolo insegnamento e atte a completare la formazione professionale "teorica" degli archeologi specializzandi con quella sul campo, elemento che conferma quanto sopra esposto in merito ad una formazione di base comune alle altre specializzazioni ritenute valide per i lavori di archeologia preventiva;

3) l'inserimento, nell'elenco di dette specializzazioni, dell'archeologia fenicio-punica (che per tradizione di studi rientra nel settore orientalistico ed è infatti inserita in quest'ambito anche dai piani di studio) e l'esclusione dell'Egittologia e dell'Archeologia del Vicino Oriente opera un'ingiusta penalizzazione verso queste ultime materie ed i loro cultori, fondandosi esclusivamente, per quanto sembra di capire, su un criterio territoriale.

Il mondo della scuola, se è consentito il paragone, offre esempi molteplici di insegnamenti ai quali si accede provenendo da corsi di laurea diversi ma che hanno in comune alcuni esami che costituiscono la formazione di base: è il caso, solo per fare qualche esempio, dell'insegnamento di Scienze, consentito a laureati di Scienze naturali, biologiche, geologiche, etc., o di Materie letterarie cui si perviene da studi di lettere ma anche di filosofia, o ancora dell'insegnamento di Storia dell'arte che può essere fatto da laureati in Lettere, Architettura, Beni culturali etc.

Perché allora chiudere le porte del lavoro ad un settore che ha già possibilità limitate (anche per altre complesse motivazioni non inerenti l'argomento in oggetto)? Perché vanificare una specializzazione svuotandone il valore, e considerare sempre meno qualificante una disciplina come l'Egittologia che pure vanta, proprio in Italia, un'altissima tradizione di studi ormai bi-centenaria e uno dei musei più prestigiosi al mondo? E' sufficiente l'assenza di siti egizi o mesopotamici sul suolo italiano per operare una simile discriminazione verso un ambito culturale attinente l'area mediterranea, come le altre specializzazioni?

Tuttavia il Legislatore, e la Commissione che l'ha consigliato, hanno peccato di grave miopia scientifica non considerando quella che è una effettiva presenza egizia nel territorio italiano al tempo dell'impero romano, tanto che alcuni siti della Penisola si qualificano come autentici insediamenti egizi fuori della Valle del Nilo, e sono la replica di modelli egizi cui si ispirano.

Alessandro Roccati



fonte: Archeogate.org
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